“Abbracciamoci!”.
Anche se, per il momento, gli abbracci sono diventati virtuali, questa semplice frase evoca ancora quel senso di profondo calore, protezione e intima comunione che tanti abbracci sanno regalare e… non solo tra gli esseri “umani”.
Conoscete l’espressione: “Tree hugger”?
Significa: “Abbraccia alberi”,
e la storia che la anima, merita davvero di essere raccontata.
Siamo in India, circa 50 anni fa. L’abbattimento di innumerevoli alberi che abitavano vastissime foreste, a tutto vantaggio di industrie e commercio, era continuo, e il Paese decide di non rimanere a guardare inerme: incomincia a adoperarsi per proteggere questa insostituibile ricchezza. E lo fa nel modo che il Mahatma Gandhi scelse per sostenere una grande rivoluzione e dare una nuova identità alla sua terra, al suo popolo:
il Satyagraha, la resistenza non violenta.
Il movimento prende il nome di “Chipko” che in hindi significa: aggrapparsi o abbracciare.
Nel 1973 il “cuore” di Chipko pulsò più forte che mai: un gruppo di donne del villaggio di Mandal, nell’Himalaya, iniziò ad abbracciare gli alberi per impedire che venissero abbattuti. Quando arrivarono i taglialegna, le donne circondarono con le loro braccia i grandi tronchi e, temerarie, si misero a cantare:
“Questa foresta è la casa di nostra madre; la proteggeremo con tutte le nostre forze”.
Cercarono di ricordare ai boscaioli che se la foresta fosse stata abbattuta le frane e l’erosione del suolo avrebbero portato inondazioni, che avrebbero distrutto i loro campi, le loro case e ogni fonte d’acqua si sarebbe prosciugata. Minacce e abusi furono ciò che ebbero in risposta, ma le donne rimasero ferme, come colonne, fino a quando, quattro giorni dopo, gli uomini se ne andarono.
Restiamo in India, ma andiamo ancora più lontano nel tempo: a circa tre secoli fa, nel 1731 a Khejarli, un paese nel Rajasthan, in cui vivono persone della comunità chiamata Bishnoi. L’amore della comunità per le vite di piante e animali va oltre ogni umana considerazione: esse sono sacre e le proteggono pronti a pagare qualunque prezzo.
Questa volta, la squadra di tagliaboschi arrivò nel paese con l’intenzione di abbattere gli alberi per lasciare spazio alla costruzione di un nuovo palazzo del Maharaja.
Una donna chiamata Amrita Devi, si mise di fronte al primo albero da tagliare e lo abbracciò, dicendo: “Se un albero viene salvato, anche a costo della mia testa, ne sarà valsa la pena”.
Amrita Devi fu uccisa. Centinaia, dopo di lei, abbracciarono alberi e in quell’abbraccio trovarono la morte, fino a quando il Maharaja ordinò di porre fine all’abbattimento degli alberi.
Erano 294 uomini e 69 donne e, per citare Amrita Devi: “ne valse la pena”venne emesso un decreto-legge che proibiva il taglio degli alberi in qualsiasi villaggio di Bishnoi.
Oggi quei luoghi sono meravigliose oasi, ricche di fitti boschi dove sembrano ancora aleggiare le anime di quegli uomini e quelle donne capaci di vedere il sacro ovunque… anche tra rami e foglie.