LA CICALA E LA FORMICA
Non tappatevi le orecchie: si parla di cicale!
“Nutrite solo d’aria e di rugiada,
Baccanti astemie,
riempiono di strida l’estate,
il bosco, l’albero e la strada.”
Pochi versi rubati ad una poesia per iniziare a parlare di lei, che con il suo canto a squarciagola ogni estate ci tiene compagnia: la cicala.
Anche qui, a “l’orto lieto”, non mancano, numerose. All’appello sono sempre presenti, dalla mattina sino a tarda sera, instancabili nel ripetere la loro melodia.
Se sono ben note alle nostre orecchie, non si può dire lo stesso per i nostri occhi: si nascondono talmente bene tra i rami e le foglie delle nostre maestose querce, che difficilmente si lasciano vedere.
Eppure…qualche giorno fa una di loro ci ha lasciato un regalino, una particolarità che solo raramente si può vedere: nel giardino, su un fiore giallo sole, un tagete, era incollato uno scheletro di una cicala!
Come fosse un serpentello, aveva lasciato la sua pelle lì.
Viene chiamata “muta” e fa parte del ciclo vitale della cicala.
Tutto inizia col canto del maschio che richiama le femmine. Da qui parte il corteggiamento e l’accoppiamento e, a distanza di poche ore, la femmina è in grado di deporre le uova su rami o sterpaglia.
Dalle uova fuoriescono le larve che vanno a vivere sottoterra, dove rimangono anche per tre, quattro, sei anni! Quando giungono alla maturazione, fuoriescono dal suolo e si arrampicano su un albero, o, come da noi, su un bel fiore, dove fanno, appunto, la muta, lasciando l’involucro ninfale, e dopo qualche ora spiccano il volo!
Inizialmente le giovani cicale hanno un colore verde-azzurro, ma dopo qualche ora, un salto dal parrucchiere, e diventano marroni. Il loro involucro viene chiamato esoscheletro, una struttura più o meno rigida: come un’armatura fa da protezione e da sostegno al loro corpo. Ma la rigidità a lungo termine non paga, impedisce la crescita ed ecco che la cicala ha bisogno di cambiare casa…ops… scheletro, e così ha di nuovo spazio per crescere.
“A voi bionde cicale, amanti dell’afa e del sole,
che l’estate cantate a dispiegate gole,
sia lode per il vostro inno giocondo
che par dica
che la gioia non è morta nel mondo”.
A cura del
Team l’orto lieto
Bonus:
La fiaba della cicala e la formica
“C’era una volta un’estate calda calda, e una cicala a cui non piaceva né sudare né far fatica. L’unica cosa che le piaceva fare era cantare tutto il giorno.
Sotto il ramo dell’albero dove stava sdraiata comoda la cicala, passava avanti e indietro una formica, tutta indaffarata a portare sulla sua schiena un sacco di cose: pezzetti di cibo, sassolini, legnetti ecc.
La cicala, vedendo quanto era sudata la formica, iniziò a prenderla in giro:
– Vieni quassù con me, signora formica. Fa più fresco e, mentre ti riposi, cantiamo insieme qualche canzone – e, così dicendo, iniziò a cantare.
– Grazie mille per l’invito, signora cicala, ma io sono molto indaffarata a mettere via provviste per l’inverno e a sistemare la mia casetta per proteggermi dal freddo, quando arriverà – e, così dicendo, continuò ad andare avanti e indietro per il prato, indaffarata.
– Ma l’estate è ancora lunga – continuò la cicala – e l’inverno ancora lontano. Non preoccuparti adesso, ci sarà tempo più avanti per mettere via le provviste!
La formica scosse un po’ la testa e continuò imperterrita il suo lavoro, senza più badare alla cicala.
– Fai come vuoi, formica mia. Io intanto mi godo questa meravigliosa giornata standomene qui rilassata a riposare – e la cicala riprese a cantare un’altra canzone.
Ma i giorni e poi i mesi passarono veloci, ed ecco che, puntuale, arrivò l’inverno, col suo freddo e col suo ghiaccio.
La cicala vagava per i campi e i prati arrabattandosi come poteva, recuperando qua e là qualcosa da mangiare e riparandosi dal freddo dove capitava.
Vagando vagando, una sera in cui il buio era sceso molto presto, incontrò una piccola casetta con la finestrella illuminata. La cicala aveva tanta fame e tanto freddo, così bussò alla porta.
La porta si aprì ed uscì la formica. Quella era la sua casetta costruita con fatica durante tutta l’estate, dall’interno si sentiva arrivare un bel calduccio e un odorino di cibo molto invitante.
– Buonasera signora cicala, cosa ti porta qui da me?
– Buonasera signora formica – rispose tutta infreddolita la cicala, tremando nel leggero cappottino che aveva addosso. – Ho freddo, ho fame e non ho un tetto dove passare la notte.
La formica guardò la cicala con compassione.
– Ah signora cicala, come ricordo bene le calde giornate d’estate in cui, mentre io faticavo per metter via provviste e costruirmi una casa, tu, beata sul tuo ramo al fresco e all’ombra, cantavi cantavi e cantavi… Beh, facciamo così: entra, per questa volta ti aiuterò e ti darò da mangiare e un letto per dormire. Tu però prometti che la prossima estate mi aiuterai a far provviste.
La cicala, imparata la lezione, promise che avrebbe fatto la brava e ringraziò di cuore la formica per l’aiuto.
Morale: chi non fa nulla, non ottiene niente, è per questo che bisogna impegnarsi”.
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commento:
sì ma il canto è divino
e non va trascurato ciò che innalza il cuore e dà gioia.
Però ci vuole anche intelligenza e disciplina.