L’essere umano non è poi così diverso da un albero. In realtà ne condivide molti aspetti.
Non a caso, nel linguaggio comune, facciamo spesso riferimento ad espressioni dal simbolismo arboreo, come mantenere ‘il tronco eretto’ o ‘i piedi radicati a terra’.
Perfino il nostro apparato respiratorio potrebbe sembrare un rigoglioso e maestoso albero inverso, con le radici rivolte verso l’alto e rappresentate dalle cavità nasali ed orale, il tronco incarnato nella trachea, e le fronde verso il basso, raffigurate dai sacchi alveolari dei polmoni, per la capacità comune di realizzare scambi gassosi necessari per la vita.
Tant’è che la respirazione è diventata oramai un elemento fondamentale per la pratica di discipline rilassanti e meditative, come la silvoterapia, che si avvalgono del contatto sinergico dell’uomo con la natura e in particolare con gli alberi.
Alcune evidenze scientifiche hanno dimostrato i benèfici effetti di simili pratiche sul sistema nervoso, endocrino ed immunitario, con un decremento significativo degli indicatori dello stress (tra cui il cortisolo), ed un aumento dell’attività linfocitaria anche ad azione anti-tumorale, oltre ad una riduzione della pressione sanguigna e della conducibilità elettrica cutanea.
Considerando che il nostro diaframma discende in media per 25.000 volte al giorno, esercitando un’influenza sulla funzione cardio-respiratoria e neuro-endocrina, è facile immaginare gli effetti globali che la ventilazione produce sull’intero organismo.
Ad esempio, la così detta ‘balneazione forestale’, nata e diffusa in Giappone col nome di Shinrin Yoku, prevede l’immersione progressiva e consapevole dell’individuo in un’area boschiva, utilizzando proprio la funzione respiratoria come chiave essenziale per il rilassamento psicofisico e la riconnessione con il ritmo vegetale.
Ad ogni inspirazione, la foresta entra in noi, la mente rallenta;
ad ogni espirazione, lasciamo andare le nostre tensioni, il corpo si rilassa.
Addentrandoci sempre più nel verde, lasciamo andare il carico di ciò che è stato, le preoccupazioni di ciò che sarà, e ci apriamo ad abbracciare il momento presente in tutta la sua totalità.
Le capacità dei nostri sensi si amplificano: ogni passo diventa un battito di consapevolezza nella terra su cui poggia; ogni suono un’onda carica di esistenza; ogni sguardo il frammento di un affresco dalle tonalità infinite.
Ogni elemento in natura sembra esprimere un proprio linguaggio, vibrare ad un proprio ritmo, che finalmente l’uomo non è chiamato a nominare, definire, comprendere, classificare, giudicare, ma semplicemente vivere qui e ora, in tutta la sua spontaneità.
È in questi momenti che abbracciare un albero può rivelarci un mondo apparentemente sconosciuto, ma in realtà solo dimenticato.
La sua corteccia che sente e protegge, entra a contatto con la nostra pelle, ne riconosciamo la somiglianza, l’odore unico, la ruvidezza che la contraddistingue, la singolarità dei suoi solchi e la presenza di cicatrici, come se da una stretta di mano rivelasse tutta la propria esistenza.
Il fusto sottostante, integro e solido, ci ricorda la stabilità da preservare in ogni evento della vita, come pure la flessibilità necessaria al nostro ‘tronco vertebrale’ per non spezzarsi.
La linfa al suo interno, come il sangue in noi, ci rammenta la fluidità e lo scorrimento di tutto ciò che viene in essere; le sue radici il radicamento in noi stessi, le origini; le fronde l’apertura al cielo, ad accogliere tutto ciò che dalla vita viene offerto, e alla vita viene restituito.
Si dice che alcuni alberi siano dei grandi maestri, e che in realtà siano loro a scegliere noi.
Se così fosse, potremmo allora realizzare d’un tratto di venir abbracciati dall’albero stesso, in quell’istante senza tempo in cui ogni senso di separazione svanisce nell’unione profonda con la Natura che siamo.