ALBICOCCA
un tesoro estivo, il frutto con il sole dentro
Questo frutto, considerato in passato come estremamente raro e succoso, veniva apprezzato dagli imperatori cinesi già 4.000 anni fa. Se ne parla nel Libro dei monti e dei mari, attribuito all’imperatore Yu il Grande, vissuto nel 2.200 a.C.
Un filosofo cinese, di nome Chuang Tzu, vissuto nel IV a.C., narra che Confucio era solito elargire il suo insegnamento in uno spazio verde circondato da alberi d’albicocco e, ancora oggi, l’ideogramma cinese che indica il ‘cerchio dell’educazione’ contiene la parola ‘albicocca’.
Originaria dell’Asia Centrale, nella regione compresa tra la Manciuria e T’ien-Shan, questa pianta si diffuse in primis in Persia ed Armenia. Qui vive una leggenda che narra di come l’albicocco fosse, una volta, solo una pianta ornamentale, frondosa, di folta chioma, dalle foglie verdi e vivaci, e dai fiori fragili, ma profumati che si schiudevano alla fine di febbraio. Durante un’invasione straniera, in Armenia fu necessario recuperare grossi quantitativi di legna per fronteggiare il nemico, così venne ordinato di abbattere ogni albero che non desse frutto, compreso un albicocco a cui una giovane fanciulla era profondamente legata. Dopo aver pianto una notte intera ai piedi del suo caro amico albero, la mattina successiva spuntarono dei meravigliosi frutti dorati: appunto, le albicocche.
Ad oggi, i semi di albicocco sono chiamati armelline, ed usati come ingredienti aromatici per sciroppi e liquori.
Nel Mediterraneo, questa pianta giunse dopo le conquiste di Alessandro Magno, ma furono i Romani a diffonderla in Europa già dal I secolo d.C. I frutti venivano venduti a caro prezzo, come ci viene raccontato da Plinio, ed il loro gusto era elogiato da autori di opere nel settore agricolo, come Columella e Palladio Rutilio.
Per questo splendido frutto, durante il Medioevo, seguì un periodo di oblio; oblio cessato quando gli Arabi ne reintrodussero la coltivazione nel X secolo in Sicilia ed Andalusia, non solo a fini gastronomici, ma anche a scopo farmacologico.
Infatti, oltre ad essere ricca di vitamina C, B, K, di acidi organici, fenoli e terpenoli, nonché di potassio, calcio e fosforo, l’albicocca è stata ed è utilizzata per le proprietà antitumorali dei suoi semi, plausibilmente dovute alla presenza di amigdalina (Vitamina B17), in grado di rilasciare sostanze come cianuro e benzaldeide, particolarmente tossiche per le cellule tumorali e i loro sistemi di replicazione.
Non a caso in India, l’albicocca viene preferita dai devoti come offerta al proprio Maestro spirituale, in quanto frutto elettivo, puro e dalle supreme proprietà benefiche.
Inoltre, le sue qualità astringenti, l’hanno resa ideale per alleviare irritazioni e infezioni cutanee; possiede, in aggiunta, discrete proprietà anti-infiammatorie; stimola la risposta immunitaria oltre a ostacolare la ritenzione idrica e a proteggere la retina dai raggi UV.
Interessante notare che negli ’30 del secolo scorso, il maggiore Rober McCarrison descriveva le usanze di una tribù chiamata Hunza, originaria della campagna a nord del Pakistan che, a quanto pare, godeva di una vita longeva (oltre i 130 anni) e di una salute quasi perfetta, scevra dalle malattie più comuni che affliggono il mondo moderno. Sembrerebbe che il segreto della loro vitalità derivasse dall’assunzione quotidiana e consistente di semi di albicocca.
Da millenni quest’albero cresce spontaneo anche sull’Himalaya, attorno ai 3000 metri di altezza dove, al contrario dei suoi fiori, il fusto resiste a temperature rigide, anche fino ai 20-30 gradi sottozero. In Italia si coltivano oltre 300 varietà di albicocche, che trovano le condizioni di crescita ottimali in collina o in pianura, purché siano ben soleggiate.
Nella nostra azienda l’orto lieto i vari alberi di albicocco sono molto generosi e regalano ogni anno grandi quantità di frutti dolci e succosi…un vero nettare. Anche le cornacchie li conoscono bene e già dallo sbocciare dei fiori, aspettano con pazienza l’albicocca e con sveltezza inizia la gara, a chi tra noi, riesce a raccoglierne di più. Se la cavano bene le nostre cornacchie, ma non sono poi così avide. Con ciò che rimane dal raccolto, riusciamo a produrre ottime riserve di marmellate e frutti essiccati che conserviamo gelosamente per la stagione invernale, così come il latte che ricaviamo dai loro semi, dono irrinunciabile.
a cura del Team l’orto lieto