Nei campi, qui in montagna, in questi giorni d’inverno, l’attività rallenta. La natura si ritira in se stessa come fosse in profonda contemplazione. Una ricarica naturale e spontanea in attesa della primavera.
Ma quando di giorno, il sole splende e l’aria fresca cristallina entra nei polmoni, si sente frizzare l’energia della vita che con impeto si diffonde in ogni cellula del corpo e allora sale una forza e un entusiasmo che allarga il cuore e mette un sorriso sulla bocca.
In un baleno ci ritroviamo a voler mettere tutto bene in ordine, tutto bene apposto nell’attesa che la natura si risvegli rigogliosa …
ecco che si aggiustano meglio le staccionate e si potano gli alberi addormentati e interiorizzati.
Si puliscono le scoline dove la pioggia ha trascinato con sé detriti, rami e foglie.
E poi appena il tempo cambia e la nebbia scende vicina vicina ed accarezza la terra e la pioggerellina fredda inumidisce l’aria allora ecco, ora è giunto il momento di dedicarsi alla manutenzione dei vari attrezzi.
Sono tanti gli attrezzi che usiamo nell’orto e il nostro magazzino, a volte, nella fretta che si ha a prendere e deporre le cose al volo, si trasforma in un gran bazar dove trovi di tutto, ma non sai più dove trovare quello che cerchi.
Il protagonista di questa ‘festa del riordino’ e senz’altro il rosso trattore.
Lo abbiamo soprannominato ‘Garuda’, come il mitico uccello divino, poiché riesce a ‘volare’ ovunque, anche nei più reconditi angoli dell’azienda dove nemmeno il passo è più sicuro.
È così l’arzillo Garuda anche se ora un pò vecchietto e provato dai topi che continuano a rosicchiare i suoi cavi nel motore, è sempre pronto e felice ad essere acceso e guidato e quanto gli piace il fango e la neve e il ghiaccio!
In tutta questa attività ‘festosa’ dove la stagione determina i ritmi e suggerisce i compiti, un amico caro e fedele ci attende sempre in casa, il fuoco, che scoppietta e scalda.
Spesso ci ritroviamo incantati davanti alle sue fiamme che s’innalzano leggere e vivaci sotto la cappa del caminetto.
La fantastica avventura della vita scorre davanti ai nostri occhi, quei pezzi di legno, appartenuti ad alberi fronzuti con le foglie protese al cielo a raccogliere i raggi del sole e con le radici ancorate nel terreno ad assorbire acqua e minerali hanno condensato nel loro cuore i tesori dell’universo.
Quando il fuoco diventa regista, riporta ogni cosa al suo posto, i gas tornano in cielo, il calore si espande intorno e la cenere torna alla terra, sì, la cenere torna alla terra.
Come un atto sacro e doveroso ogni giorno svuotiamo il secchio della cenere offrendola al campo, la spandiamo ai piedi degli alberi oppure nell’orto dove insieme al letame, che ci regalano in abbondanza le mucche, verrà di nuovo mescolata alla terra.
L’uso della cenere come fertilizzante è una pratica antichissima che risale alle agricolture più primitive basate proprio sulla distruzione di tratti di foresta col fuoco e sulla coltivazione delle aree così liberate e fertilizzate dalle ceneri.
Anche oggi, questa pratica viene usata dal contadino esperto e che ama la natura.
La cenere è un dono prezioso innanzi tutto perché è un prodotto naturale, conforme al ciclo della natura, ma anche perché apporta al terreno fosforo, potassio e altri elementi nutritivi.
E non solo…
la cenere riesce anche ad aumentare il ph del terreno, rendendo il suolo più predisposto allo sviluppo di quelle piante che vengono chiamate basofile e che sono indispensabili alla salute della natura poiché rendono il terreno più alcalino.
Questo è un enorme beneficio per le coltivazioni che seguono e rispettano la natura.
Mi piace pensare alla cenere come all’inchiostro nel calamaio del Creatore col quale ogni giorno da forma a nuove poesie.